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Calcio | 11 febbraio 2020, 10:45

Calcio. Ha davvero senso di parlare di "merito" a fine partita? E in che cosa consiste?

Una discussione sempre aperta che attraversa tutte le categorie dello sport più popolare

Calcio. Ha davvero senso di parlare di "merito" a fine partita? E in che cosa consiste?

"Non avremmo meritato di perdere o pareggiare, ma di vincere". Così numerosi allenatori - dalla Serie A alla Terza Categoria - analizzano in molti casi le sconfitte delle proprie squadre. Un tipo di analisi che dà spesso il via a tenzoni infinite con le parti coinvolte che rivendicano la legittimità del proprio successo o che recriminano per l'"ingiustizia divina" subita. La domanda sorge dunque spontanea, che cos'è il "merito" nel calcio e come lo si stabilisce? E, inoltre, ha senso parlare di merito?

Per provare a rispondere a questi quesiti, viene in aiuto un interessante libro, "La partita perfetta - filosofia del calcio", scritto dai docenti universitari di filosofia Corrado Del Bò e Filippo Santoni de Sio. Tra le pagine del breve volume, emerge un ragionamento sulle difficoltà del definire il "merito sportivo" che consente di effettuare qualche riflessione a riguardo. 

Basta aver espresso il calcio più offensivo per meritare? Di certo, questa visione è troppo semplicistica, perché non tiene conto, ad esempio, delle diverse strategie delle squadre. Un team può decidere di lasciare il pallino del gioco all'avversario per poi "fregarlo" in contropiede. Non è un'arte anche quella di difendersi bene? E poi bisogna tenere conto della forza degli organici quando si tenta di valutare eventuali "meriti", qualora esistano. Basta produrre il maggior numero di occasioni da rete? In questo caso verrebbe quasi da rispondere di sì, ma davvero merita di più chi fallisce le numerose occasioni che crea? E nel caso fosse il portiere avversario a compiere numerose prodezze, non sarebbe logico dare alla squadra di cui quest'ultimo è parte integrante i meriti del successo?

Parlare di merito al di fuori del risultato risulta un esercizio complesso e, in ogni caso, inutile, a meno che non lo si faccia per cambiare le regole di uno sport imprevedibile come il calcio, in cui conta solo fare un goal più degli avversari, o subirne uno di meno, a seconda dei punti di vista. L'unica possibilità oggettiva di definire il "merito", se proprio qualcuno sentisse la necessità di farlo, è quello di affidarsi alla teoria "riduzionista" del libro citato poc'anzi, che afferma che, alla fine, "non aver soddisfatto i requisiti che attribuiscono punteggio (i goal) è di per sé una dimostrazione di demerito calcistico". Ciò non significa assolutamente denigrare qualsiasi commento post gara, ma è bensì un invito a spostare l'attenzione sui reali fatti che accadono durante le partite senza per forza scervellarsi su concetti astratti come "vittorie meritate" e "sconfitte ingiuste". 

Michael Traman

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