Basket - 18 gennaio 2024, 19:00

PROGETTO CAMPIONI. Un amore incondizionato per la pallacanestro: alla scoperta di Matteo Librizzi

Matteo ci racconta i suoi primi passi dentro un campo da basket

PROGETTO CAMPIONI. Un amore incondizionato per la pallacanestro: alla scoperta di Matteo Librizzi

Continua l’appuntamento periodico con una nuova rubrica all’interno dei quotidiani del nostro gruppo editoriale Morenews: Progetto Campioni.  

Paola Mascherin ci racconterà i profili dei giovani atleti più interessanti del nord ovest, per provenienza o militanza.


Oggi conosciamo Matteo Librizzi, cestista classe 2002 di Varese. Matteo ci racconta la sua storia sportiva e la disciplina di cui si è innamorato quando era un bambino. La sua determinazione è da sempre la sua carica e col tempo gli ha dato tante soddisfazioni, tra cui l’occasione di vestire la maglia della Nazionale, e tante gliene regalerà ancora.



Come ti sei appassionato al basket?

“Come la maggior parte dei ragazzi in Italia la mia idea iniziale era quella di giocare a calcio ma la mia famiglia, soprattutto dalla parte di mia madre, è sempre stata molto appassionata alla pallacanestro. Mia mamma e i miei zii giocavano a basket e sono stati loro a spingermi a provarci. Una volta che ho iniziato mi sono innamorato del gioco e non ho più smesso.”


Chi è il tuo idolo e a chi ti ispiri?

“Mi piace moltissimo Allen Iverson perché come giocatore penso che sia simile a me, per esempio per statura fisica.”


Quando hai capito che nella vita avresti voluto fare della tua passione la tua professione?

“L’ho capito circa due anni fa quando a Varese arrivò il coach Roijakkers, è stato lui a cominciare a inserirmi in pianta stabile in prima squadra. Da lì ho realizzato che se mi fossi impegnato e ci avessi provato tutti i giorni potevo farcela.”


Cosa ti piace del basket?

“Quando entro in un campo da basket do tutto me stesso, mi piace mettermi alla prova ogni giorno. In ogni cosa che faccio do sempre il meglio di me, partendo dall’allenamento e dai pesi. La vedo come una sfida giornaliera.”


Com’è passare dalle giovanili alla realtà di una prima squadra?

“È tutto un altro mondo. Nelle giovanili più che al risultato tendenzialmente si pensa a migliorare il modo in cui giochi e come ti rapporti con i compagni. Il basket professionistico come giusto che sia è più indirizzato al risultato, ci sono sponsor e gente che mette il proprio tempo a tua disposizione, diciamo che a questi livelli non lo vedi più come un gioco ma cominci a vederlo come un lavoro.”


Come ti senti ad essere arrivato a questi livelli pur essendo molto giovane?

“Mi sento fortunato e onorato ogni giorno, soprattutto di poter giocare per la mia città, per la squadra che tifo fin da bambino. Ho un grande senso di appartenenza verso questa maglia, mi sento molto varesino.”


Cosa continua ad alimentare la tua passione per il basket?

“L’amore per il gioco, ne sono innamorato ed è quello che mi piace fare. Quando scendo in campo mi sento bene, nel posto giusto e non riuscirei a immaginarmi altrove.”





Come hai superato e consigli di superare i momenti bui?

“Io da sempre sono una persona molto determinata e il mio consiglio è quello di non guardare al passato, o meglio guardarci il giusto, imparare dagli sbagli fatti e capire come e dove poter fare meglio. Poi penso al futuro e a quello che posso dare alla squadra e a me stesso. Da questo punto di vista mi reputo una persona che non ha paura e mi metto sempre in gioco.”


Come vivi lo spogliatoio?

“Sono sempre stato molto fortunato, tutti gli anni ho trovato persone super. Mi hanno sempre trattato come un pari e non come un ragazzino che arrivava dalle giovanili, diciamo che per questo motivo non ho sofferto particolarmente passare in una prima squadra. In spogliatoio si sta bene, sono tutti ragazzi simpatici e venendo da tante parti del mondo possono raccontarti la loro esperienza e i loro punti di vista. C’è un bel clima e scherziamo molto.”


Che significato hanno per te la vittoria e la sconfitta?

“La vittoria è il premio e la soddisfazione per tutto il lavoro fatto in palestra, chiude il cerchio della settimana. Perdere non mi piace e quando succede sono deluso e arrabbiato, però come ho detto prima bisogna focalizzarsi il giusto, imparare, vedere cosa si può fare meglio e andare avanti senza fasciarsi la testa.”


Come è stato conciliare studio e sport?

“Per me è stato davvero difficile, quando ero in quinta superiore giocavo sia in Serie B che in Serie A, c’erano giornate in cui entravo in palestra alle due e uscivo alle nove. Per me sono stati dei sacrifici allucinanti, facevo anche lo scientifico quindi come scuola era tosta. La mia determinazione mi ha sempre spinto a non mollare oltre al fatto che giocare a basket mi piacesse da morire. Ho fatto molta fatica ma alla fine della giornata ero felice e ad oggi rifarei tutto di nuovo.”


Avresti mai pensato di arrivare a giocare per la squadra della tua città?

“Quando ero più piccolo era un sogno, poi crescendo è diventato un obiettivo vero e proprio. Ho capito di potercela fare quando ho iniziato ad allenarmi con la prima squadra, ho sempre avuto la voglia di farcela e ogni giorno mi alleno come se fosse l’ultimo. Voglio ancora migliorarmi tanto ma arrivare a fare alla mia età una cosa che mi piace molto a questi livelli è per me già una grande soddisfazione.”


Che cosa diresti a chi ha il tuo stesso sogno?

“Il mio consiglio è di amare quello che fai. Quando arrivi a certi livelli la pallacanestro diventa un lavoro ma deve essere soprattutto un piacere praticare il gioco di cui ti sei innamorato quando eri piccolo. Bisogna dare sempre il massimo in ogni allenamento e fare sempre di più rispetto agli altri.”


Com’è ricevere la prima chiamata in nazionale?

“Stupendo, la prima chiamata in U20 è stato un sogno che si è realizzato. Per l’annata che avevo fatto speravo tanto che arrivasse ed è stato così. Vestire la maglia azzurra è bellissimo e rappresentare il mio paese è per me una grande responsabilità. In ogni partita do sempre il massimo e non mollo mai anche quando le cose si mettono male, ci sono un sacco di persone che vorrebbero essere al tuo posto e bisogna rispettarle. In Nazionale ogni secondo è prezioso e nulla è mai scontato.”


Il ricordo più bello che hai della tua carriera?

“L’esordio al palazzetto contro Trento e la vittoria. Quando lo speaker ha detto il mio nome e tutto il palazzetto ha cantato il mio cognome mi sembrava un sogno. Sono partito in quintetto e anche poco prima dell’inizio della partita non riuscivo a crederci, stavo realizzando un sogno. È stata davvero una bella serata.”


Pensi di essere nato con un talento?

“Secondo me un po’ si, ma non mi reputo baciato dalla fortuna. Sono stati soprattutto il duro lavoro e la mia determinazione a portarmi dove sono ora.”


Paola Mascherin

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